“Ho appena abortito…” “Che vuoi che sia, ne farai un altro!”

È un dolore sordo e accecante, le giornate scivolano nelle cose da fare ma sono come appiattite, non hanno spessore, lucidità, si sono tinte di inutilità…

Mi disse che c’era voluto del tempo per togliere quel “residuo”… Così aveva chiamato mio figlio che avevo amato fin da subito…

E vidi scivolare via mio figlio così, senza poter far niente, nel bagno, in un mare di sangue…

(Da libro “La morte in-attesa” di Claudia Ravaldi).

 

Lo spettro dell’aborto

Per una mamma nei primi 3 mesi di gravidanza, il più grande timore, mai espresso, è lo spettro dell’aborto: che la morte abbia il sopravvento sulla vita che si sta formando.

In effetti l’aborto spontaneo è un evento molto frequente nel primo trimestre di gravidanza, interessa il 15- 20% delle gravidanze e avviene soprattutto tra l’ottava e dodicesima settimana di gestazione.

Si parla di aborto spontaneo quando avvengono forti perdite di sangue o un’emorragia e la donna non comprende cosa sta succedendo. Questo tipo di aborto spesso non dà preavviso e la madre, “appena nata”, viene colta di sorpresa, senza aver percepito il minimo segnale.

Si parla di aborto interno quando durante la visita di routine, il ginecologo si accorge che il cuore ha smesso di battere e dà la diagnosi di morte.

 

Le emozioni legate all’aborto

Questa notizia, data a volte con un po’ di leggerezza, è l’inizio di una discesa negli Inferi per i genitori, un percorso molto doloroso.

Spesso la madre si trova da sola alla visita e come ci racconta Claudia Ravaldi nel suo libro, sarebbe opportuno che non fosse lasciata tornare a casa con una tale notizia nel cuore senza una persona accanto.

Nonostante sia uno spettro presente nella mente delle donne in gravidanza, questo non vuol dire che si è mai preparate veramente alla diagnosi che il bambino è morto. Così come, una madre non è MAI pronta a vedere il proprio figlio che se ne va via in una grossa perdita di sangue.

Sono tante le emozioni che si avvicendano dopo la notizia:

  • incredulità (è successo davvero? Perché a me?);
  • shock e confusione, soprattutto se totalmente inaspettata;
  • senso di ingiustizia;
  • disperazione e senso di vuoto;
  • solitudine ed inutilità;
  • paura per la propria incolumità fisica, per il futuro e la possibilità di avere altre gravidanze;
  • senso di colpa per l’accaduto.

 

Il dolore legato all’aborto va manifestato

Tre mesi di gravidanza rappresentano importanti cambiamenti fisiologici ma anche aspettative, progetti, emozioni . La coppia si è già messa in moto per questo esserino che ancora non si vede e non si sente, ma già un mondo ruota intorno a lui/lei, già molte persone sono in sua attesa.

Questo “dettaglio” viene sottovalutato dai familiari e a volte dagli stessi interessati. La coppia genitoriale cerca di bypassare l’evento della morte del bambino in tempi brevi, evita di soffermarsi troppo sui sentimenti negativi che emergono.

E c’è da dire che a questa tendenza della coppia, si aggiunge, purtroppo, una scarsa preparazione ed empatia da parte degli operatori stessi che spesso non sono in grado di affrontare ed orientare adeguatamente i genitori.

Purtroppo accade che gli operatori, i primi a trovarsi faccia a faccia con i genitori che hanno appena saputo la notizia, cerchino di normalizzare l’accaduto e sminuiscano dicendo che:

“non serve farsi troppi problemi”

“non serve piangere tanto ci saranno altre occasioni”

“meglio sia successo ora che dopo”.

Questo atteggiamento, che con le migliori intenzioni viene tenuto per non arrecare altro dolore, invece ne porta di più. Toglie importanza al vissuto dei genitori e soprattutto non dà loro la possibilità di manifestare quel dolore che sta scoppiando dentro, spingendoli a negarlo.

Alla coppia arriva il messaggio che bisogna fare in fretta a dimenticare, che non vale la pena disperarsi perché era solo un feto, che non è successo niente di così grave e l’accaduto va ridimensionato.

Ma sappiamo che non è così ed è opportuno trovare i modi , i tempi e le persone per parlarne, per non farlo diventare un discorso tabù.